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Poche lezioni sono più efficaci di quella di Henry Ford per far comprendere il valore della visione d’impresa. La illustrerò seguendo le sue stesse riflessioni. Come gli antichi mercanti italiani, Henry Ford ha riflettuto e scritto a lungo sul senso della sua opera (Henry Ford, La mia vita e la mia opera, 1925).
La famiglia Ford viene dall'Irlanda. Si insedia nel Michigan a Dearbonville (vicino a Detroit) nel 1832. L'Irlanda e' poverissima, preda di carestie, di epidemie, di lotte sociali e religiose durissime con gli inglesi occupanti (la questione irlandese di oggi e' molto antica). Nel 1840contava otto milioni di abitanti, alla fine del secolo ne contava quattro milioni.
La famiglia Ford è una famiglia di pionieri che compra il suo pezzo di “uncleared forest land” per 10 scellini per acro (10 scellini e' il prezzo di una giornata di lavoro), e vive bene. Cosi’ - osserva Tocqueville - un lavoratore puòguadagnare in una giornata quanto basta per comprare un acro di terra (un acro = 4046 m2). Dearbonvillee’ nella foresta nella quale si entra seguendo i vecchi sentieri degli indiani ed il lavoro nei campi e’ l’attività’ principale.
"Il mio primo ricordo e' che, in proporzione ai risultati, c'era troppo da lavorare su quei campi…. pur essendo molto giovane io pensavo che gran parte di quel lavoro si sarebbe in qualche modo potuto fare in condizioni migliori…. questo e' il motivo che mi condusse alla meccanica", "il maggior avvenimento di quei primi anni (1875 – dodici anni) fu l'incontro con una locomobile” (macchina a vapore addetta al trasporto di trebbiatrici: macchina a vapore montata su ruote con caldaia, serbatoio d' acqua, con carretto di carbone e collegata con catena alle ruote posteriori).
A 17 anni entra come apprendista meccanico nell’officina meccanica “Dry dock engine works”.
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Di sera spesso lavorava per un orologiaio a riparare orologi per i quali aveva una enorme passione, ma non seguì questa via perchè “io volevo fare qualcosa di massa”.
Nel 1879 (19 anni) entra come meccanico in un rappresentante locale della Westinghouse, produttrice di locomobili per lavori stradali e macchine agricole.
Rimane colpito dallo squilibrio tra il peso della macchina e la sua utilità.
"Pensai che forse la gente avrebbe avuto maggiore interesse per una cosa viaggiante sulle strade pubbliche che non per una impiegata nelle fattorie".
Inizia a sperimentare un veicolo civile a vapore (problema forza-peso-volume-pressione).
Dopo due anni si convince che il problema e’ insolubile (“inadattabilità del vapore a veicoli leggeri”).
E’ alla ricerca di nuova energia. Segue le riviste tecniche soprattutto inglesi (su World of science legge per la prima volta di un "motore a gas senza vapore", modello otto, mosso dal gas illuminante, il concetto era comunque quello della combustione interna).
Tutti gli esperti erano contrari ("è questo l'abituale modo di pensare delle persone sagge: sono così sagge ed esperte da sapere sempre esattamente perchè qualche cosa non si possa fare: esse vedono sempre i limiti").
Nel 1885 gli capita di riparare un motore Otto presso la “Eagle iron works” di Detroit (cogliere l’occasione: “nessuno in città s’intendeva di tali macchine. Corse la voce che io le conoscessi e benché nessuno di quei congegni fosse passato mai per le mie mani, io m’assunsi il lavoro e lo condussi a termine”).
Cio’ gli offre l’occasione di studiare direttamente la macchina e nel 1887 (24 anni) “ne costrussi una sul modello Otto a quattro cicli, tanto per vedere se avessi compreso bene i principi”. Esso funzionava a benzina “e benché non sviluppasse molta energia era proporzionalmente più leggera di tutte le macchine finora apparse sul mercato”.
E’ meccanico di prima classe.
Accetta di ritornare alla fattoria dove il padre gli regala sedici ettari di bosco, ma Henry vi attacca una segheria e una piccola officina meccanica dove continua i suoi esperimenti con i motori a gas. Si sposa.
Esperimenta moltissimi motori concentrandosi sull’ipotesi a due cilindri.
Nel 1890 si trasferisce a Detroit come tecnico meccanico, a 45 dollari al mese, alla “Detroit electric company”.
“Tutte le sere e tutte le notti del sabato lavoravo al mio nuovo motore. Non posso dire che fosse un lavorare molto duro. Nessun lavoro che interessi e’ mai duro. Ero sicuro del mio successo. Esso viene sempre se voi lavorate abbastanza strenuamente”.
Nel 1892 completa la sua prima automobile.
Nel 1893 la “gasoline buggy” di Henry Ford incominciò a “correre con una certa mia soddisfazione”. Era considerata una specie di flagello poiché faceva rumore e spaventava i cavalli. essa inoltre arrestava il transito”.
Per parecchi anni fu l’unica automobile di Detroit e Ford girava con una pesante catena per legarla ai fanali e con una specie di licenza comunale che era la prima patente americana.
Nel 1896, dopo aver percorso circa mille miglia la vende a Carlo Ainsley di Detroit per duecento dollari: “fu questo il mio primo affare commerciale” (33 anni).
“Non era affatto mio intendimento di costruire automobili in così meschina misura, io aspiravo alla grande produzione, ma ciò presupponeva che io avessi qualcosa da produrre. Non c’e’ scopo a precipitare le cose”.
Nel 1896 incomincia a lavorare alla sua seconda vettura: “durante tutto questo tempo conservai la mia posizione nella compagnia di elettricità e a grado a grado fui promosso ingegnere con lo stipendio di cento e venticinque dollari al mese”.
Il suo superiore alla compagnia elettrica lo sprona a dedicarsi solo all’elettricità’ (“l’elettricità’ e’ l’avvenire non il gas!”) .
“Io non vedevo l’utilità’ di sperimentare questa forza motrice per il mio scopo. Una vetturetta da strada maestra non poteva essere fatta correre senza un sistema di fili elettrici, anche se i fili elettrici fossero stati meno costosi; ne’ era in vista alcuna batteria d’accumulatori che potesse riuscire pratica per il peso. Una vetturetta elettrica doveva di necessità essere limitata nel raggio d’azione”.
La compagnia elettrica gli offre il posto di sovrintendente generale “alla sola condizione che avessi abbandonato i miei progetti sulla automobile a gas”.
“Io dovevo scegliere tra il mio lavoro e la mia automobile. Io scelsi l’automobile… abbandonai il mio posto il 15 agosto 1899 ed entrai nell’industria dell’automobile” (36 anni). In precedenza si era consultato con Edison che lo incoraggiò ad andare avanti per la sua strada.
“Si può considerarlo un passo ardito perché io non avevo mezzi personali. Tutto il denaro che potevo risparmiare nella mia vita era adoperato negli esperimenti. Ma mia moglie era d’accordo con me che l’automobile non poteva essere abbandonata… non c’era richiesta di automobili sul mercato: non ce n’e’ mai per un nuovo articolo… .
Lotta contro le opinioni dominanti:
- l’automobile e’ un capriccio per ricchi;
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l’automobile come mezzo solo per corse sportive veloci (“l’industria era distolta a far vetture veloci anziché vetture buone”).
Contatto con venture capital: nasce la “Detroit automobile company” per lo sfruttamento della prima vettura Ford.
La società e’ costituita da un gruppo di uomini d’affari (Henry Ford e’ ingegnere capo ed ha solo una modesta partecipazione agli utili).
La business idea: “tutto il pensiero dell’azienda consisteva nel raccogliere ordinazioni e nel ricavare per ogni vettura il maggior prezzo possibile. L’idea dominante sembrava essere quella di ghermire il denaro”.
“Trovandomi senza alcuna autorità tranne quella che mi dava la mia posizione di ingegnere, io dovetti riconoscere che la nuova compagnia non era il veicolo col quale potevano attuarsi le mie idee, ma solo un consorzio per fare denaro… che non faceva molto denaro… nel 1902 (39 anni) mi licenziai determinato a non mettermi mai più agli ordini degli altri”.
La “Detroit automobile company” diverrà poi la “Cadillac company” e confluirà nella “General Motors”.
La Fiat era già nata il 1 luglio 1899.
Henry Ford affitta un magazzino per continuare i suoi esperimenti e per “scoprire che cosa fossero veramente gli affari”.
“L’aspetto più sorprendente degli affari quali erano condotti era la grande importanza data alla finanza e la poca importanza data al servizio. Questo mi sembrava il rovescio del processo naturale per cui il denaro deve venire come risultato del lavoro e non precedere il lavoro”.
“Il secondo aspetto che mi colpì negli affari fu la generale indifferenza ai migliori metodi di lavorazione fino a tanto che un prodotto qualsiasi si vendeva e apportava denaro…
Il mio pensiero, allora come oggi, era quello che se un uomo eseguisse a dovere il suo lavoro, il prezzo che egli ne avrebbe ricavato, il guadagno e tutte le altre questioni finanziarie si sarebbero messe a posto da sè e che un’azienda aveva da incominciare in piccole proporzioni e da svilupparsi gradatamente merce’ i propri redditi, se non ci fossero redditi, questo doveva costituire un avvertimento al proprietario”.
“Decisi inoltre che, se non vi fosse mezzo d’avviarmi a quella specie d’attività’ che io pensavo potersi gestire nell’interesse del pubblico, io semplicemente avrei rinunciato a qualunque avviamento, giacché la mia breve esperienza personale, insieme con quello che vedevo succedere intorno a me, mi dava prove sufficienti che gli affari intesi come un semplice gioco per guadagnare denaro non meritavano che ci si spendesse molto pensiero e non erano senz’altro il posto per un uomo che aveva l’intimo bisogno di compiere qualche cosa. Non mi parve quella la giusta via per far denaro. E ancora aspetto che mi si dimostri essere quella la giusta via. Il solo fondamento di una industria reale, io insisto, e’ che essa renda servizio”.
L’innovazione continua
“Gli uomini d’affari vanno in rovina insieme con le loro imprese perché amano le vecchie vie al punto da non sapersi risolvere a cambiarle. Li si trova da ogni parte codesti uomini che non sanno che ieri e’ passato, e che si son destati anche questa mattina con le loro idee dell’anno scorso, potrebbe quasi iscriversi come una formula che quando un uomo incomincia a pensare d’aver trovato il suo metodo, egli farebbe meglio a incominciare un piu’ investigativo esame di se’ per scoprire se qualche parte del suo cervello non sia andata a dormire. C’e’ un sottile pericolo in un uomo il quale pensi di essersi “messo a posto” per tutta la vita. Cio’ significa che al prossimo giro della ruota del progresso egli sara’ buttato fuori”.
Lavoro, management, denaro
“L’influenza del denaro – la pressione per ricavar profitto da un’investizione di capitale - e la trascuranza e l’indebolimento del lavoro che ne conseguono e si riflettono quindi sui servizi, mi si rivelarono in molte guise, essere alla radice della maggior parte degli inconvenienti. Erano la causa dei bassi salari: giacche’ se il lavoro non e’ ben diretto, non si possono pagare alte mercedi. E se tutta l’attenzione non e’ concentrata sul lavoro, esso non puo’ essere ben diretto. La maggior parte degli uomini hanno bisogno di essere liberi per lavorare: col sistema vigente essi non potevano essere liberi. Durante il mio primo esperimento io non ero libero; non potevo dare pieno svolgimento alle mie idee. Ogni cosa doveva essere concepita per far denaro; l’ultima considerazione era il lavoro. E il lato piu’ curioso di tutto cio’ era l’insistenza nel predicare che era il denaro e non il lavoro quello che contava. Nessuno era colpito dall’assurdità’ che il denaro avesse la precedenza sul lavoro, sebbene ognuno dovesse ammettere che dal lavoro doveva venire il guadagno, pareva si desiderasse trovare una scorciatoia per il denaro e passare per quella che si presentava piu’ ovvia: cioe’ attraverso il lavoro”.
La nuova concezione
Nel piccolo magazzino di mattoni al n. 81 di Park Place di Detroit, Henry Ford non matura solo queste “riflessioni sugli affari”, cioe’ mette a punto il suo sistema di valori imprenditoriali, ma anche precisa a se stesso, in forma definitiva, la sua “business idea”, il suo credo centrale, la sua strategia fondamentale.
Egli vuole:
- “produrre un’automobile perfettamente buona a basso prezzo, assistita da un servizio continuo per il cliente”
- per fare questo deve trovare metodi di produzione e distribuzione radicalmente diversi da quelli generalmente diffusi.
E’ a questo punto che dal Ford meccanico nasce il Ford imprenditore.
Accettare le sfide
Nel frattempo paga il prezzo che deve pagare alla moda sportiva.
Pur non avendo nessun interesse per le competizioni, mette a punto un motore a due cilindri veloce, lo monta su uno “chassis”, accetta la sfida di Alessandro Winton di Cleveland, che era il campione d’America per le vetture da corsa e che sfidava chiunque a batterlo. E lo batte.
“Fu quella la mia prima gara ed essa mi diede la notorietà sotto quell’unica forma alla quale il pubblico si mostrava accessibile”.
I metodi di produzione
Ormai e’ sicuro sul prodotto.
L’impegno si sposta sui metodi di produzione.
“I compratori imparano a comperare. La maggior parte terra’ conto della qualità e cercherà di avere per ogni dollaro quanto piu’ e’ possibile di qualità buona…. se voi vi disponete a produrre col criterio della qualità piu’ alta e a vendere col criterio del prezzo piu’ basso, incontrerete una richiesta cosi’ grande da poterla anche chiamare universale”.
Qui il Ford imprenditore incomincia ad agire per cambiare il mondo.
“Standardizzazione” vista non dal punto di vista del produttore ma del consumatore (“la standardizzazione puo’ essere veduta come un cattivo affare tranne che essa non comporti il programma di ridurre costantemente i prezzi ai quali e’ venduto l’articolo… il pubblico dovrebbe al contrario sempre meravigliarsi che gli si possa dar tanto per il denaro speso”).
“Standardizzazione” (per usare il vocabolo come lo intendo io) non significa affatto la scelta dell’articolo di piu’ facile vendita e la semplice concentrazione in esso. E’ invece un ricercare notte e giorno e probabilmente per anni, dapprima intorno a quello che meglio convenga al pubblico e poi intorno al modo di fabbricarlo.. quindi se noi abbiamo ricondotto l’industria dalla base del guadagno alla base del servizio noi ci siamo con cio’ assicurato un vero affare, i cui redditi non lasceranno nulla a desiderare”.
Nel 1903 nasce la “999” . La sfida del lago salato.
Otto giorni dopo fonda la “Ford motor company” (“in essa ero vice – presidente, disegnatore, ingegnere in capo, soprintendente e direttore generale”).
Il capitale e’ di 100.000 dollari, di cui 28.000 l’importo effettivamente versato “e questo fu l’unico denaro contante che la società abbia posseduto come suo capitale ad eccezione di quello che ricavammo dalle vendite”.
Ford possiede il 25,5% ma nel 1906 (“con fondi che avevo guadagnato nella società”) sale al 51% e subito dopo al 58%. Nel 1919 il figlio Edsel comprerà il rimanente 41,5% (a 12.500 dollari per azione di nominale di 100 dollari).
Connessione tra progettazione e produzione (“nel progettare le mie costruzioni io avevo anche elaborato i metodi di produzione”).
La produzione dei componenti e’ largamente decentrata. Il cuore dell’azienda e’ la progettazione, l’assemblaggio, la distribuzione, il servizio.
“E’ del tutto indifferente se una compagnia e un individuo abbia in sua proprietà tutti i laboratori dove si fabbricano i vari pezzi componenti un singolo prodotto, ovvero se questi pezzi vengono eseguiti in officine del tutto indipendenti tra loro, purche’ esse abbiano tutte adottato lo stesso principio della prestazione di servizio”.
Crescendo, Ford aumenterà l’integrazione verticale, cioè la produzione interna, ma piu’ come stato di necessità che come scelta.
Il decentramento produttivo resta per Ford la prospettiva piu’ corretta:
“Il piu’ economico sistema di produzione dell’avvenire sarà quello in cui non tutte le parti di un oggetto siano fatte sotto lo stesso tetto, se pure, ben s’intende, non si tratti di un oggetto molto semplice, il sistema moderno o meglio futuro, e’ quello che fa fare ogni parte dove essa possa essere fatta meglio e poi le raccoglie tutte nei centri di consumo per formarne la completa unità”.
Il successo dell’industria automobilistica giapponese nel ventennio 1970-90 non e’ dovuto a motivazioni esoteriche antropologiche e pseudo religiose, ma solo al fatto che hanno applicato diligentemente su questo e altri punti chiave l’esperienza ed il pensiero di Henry Ford.
La lotta contro il peso (“per qualche oscura ragione noi abbiamo confuso il peso con la forza… nulla ha da fare la forza con il peso… l’attività’ mentale dell’uomo che fa qualche cosa al mondo e’ agile, leggera e forte. Le piu’ belle cose della vita sono quelle dalle quali e’ stata eliminata ogni sovrabbondanza di peso, la forza non e’ mai precisamente peso: non negli uomini e non nelle cose”).
La lotta contro il prezzo, il primo modello (“Modello A”) e’ messo sul mercato nel 1906 a 850 dollari per lo “chassis” e 100 dollari per la carrozzeria (due cilindri, otto cavalli, trasmissione a catena, serbatoio con cinque galloni di benzina).
La risposta del pubblico: 1708 vetture. La rivoluzione dell’automobile e’ iniziata.
La produzione di massa
La scelta per modelli limitati, con in mente un modello solo e la riprova delle teorie di Ford (“i miei associati non erano convinti che fosse possibile restringere le nostre vetture ad un modello solo” e non erano convinti che i prezzi dovessero essere bassi).
Nel secondo anno (1907): tre modelli |
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Modello B (vettura da viaggio a quattro cilindri) |
2.000 $ |
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Modello C (vettura da citta’, Modello A potenziato) |
1.000 $ |
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Modello F (vettura da viaggio) |
1.000 $ |
“In altre parole, noi concentrammo le nostre energie a prezzi aumentati: e perciò vendemmo un minor numero di automobili che il primo anno. Le vetture vendute furono 1695”.
La base concettuale al fondo della questione del modello. La scelta non e’ solo tecnica. E’ di fondo, di concezione di vita:
“l’industria automobilistica andava seguendo la vecchia industria del biciclo, in cui ogni fabbricante credeva necessario lanciare un nuovo modello ogni anno e farlo cosi’ dissimile dai precedenti che chiunque avesse comperato uno di questi modelli anteriori dovesse sentire il desiderio di disfarsene e di comperare una macchina nuova. Cosi’ si supponeva dovessero essere i buoni affari. E’ lo stesso modo di pensare al quale le donne si sottomettono per i loro vestiti e per i loro cappellini. Ma questo non e’ “servizio” del pubblico: e’ un cercare soltanto di dargli qualche cosa di nuovo, non qualche cosa di meglio. E’ straordinario quanto sia radicata profondamente la credenza che gli affari, la continua vendita, non dipendano dal soddisfare l’avventore una volta per sempre, ma dal cavargli il denaro per un articolo e quindi persuaderlo che egli dovrebbe comperarne un altro e ben diverso. Il progetto che io tenevo allora in riserva nel mio cervello, non essendo noi ancora abbastanza bene incamminati per tradurlo in realtà, era quello di stabilire che quando un nostro modello fosse lanciato sul mercato, esso dovrebbe essere suscettibile della sostituzione di ciascuna delle sue parti con quelle in cui avessimo introdotto miglioramenti in un modello nuovo, talche’ una nostra vettura non fosse mai antiquata. E’ mia ambizione che ogni pezzo di macchina o altro prodotto di materiale non deperibile lanciato da me, sia cosi’ forte e cosi’ ben fatto che nessuno abbia bisogno di acquistarne un secondo. Una buona macchina di qualsiasi specie deve durare come dura un orologio”.
Lo scontro strategico con i soci-finanziatori (troppo pochi modelli). Ford: “io pensavo invece che la ragione fosse nei prezzi troppo alti; i nostri prodotti non erano accessibili al 95 per cento della gente”.
Ford riscatta la maggioranza per imporre la sua strategia:
- nel 1907 tre modelli molto simili tra loro (e con massima uniformità dei componenti): prezzo tra 600 e 700 $
“E in un momento avemmo la completa dimostrazione di cio’ che significhi prezzo: 8423 autovetture vendute”;
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nel maggio 1908: record di 311 vetture montate in un settimana; |
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nel giugno 1908: record in un sol giorno (24 ore) di montaggio di cento vetture; |
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il rifiuto dell’appagamento. |
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“Eravamo una compagnia fiorente. Avremmo potuto con tutta facilita’ metterci in quiete e dire: “siamo arrivati. Ora conserviamoci quello che abbiamo conquistato”. In verità, qualche inclinazione a quest’ordine di pensieri non mancava. Alcuni dei nostri azionisti erano seriamente sgomenti quando la nostra produzione raggiungeva le cento automobili al giorno. Essi volevano fare qualche cosa per fermarci sulla via che avrebbe condotto la compagnia a rovina. E quando ai loro argomenti io rispondevo che cento automobili al giorno erano soltanto un’inezia e che io speravo di fabbricarne fra non molto un migliaio al giorno, essi avevano un’espressione indicibile di contrarietà, e io comprendevo che si accingevano sul serio ad avviar qualche azione contro di me. Se io avessi seguito l’opinione dei miei associati, avrei conservato l’impresa nelle sue condizioni d’allora, avrei messo gli utili in un bel palazzo per l’amministrazione, avrei cercato un compromesso coi concorrenti che sembravano troppo attivi, avrei fatto di quando in quando qualche progetto per afferrare la simpatia del pubblico, e in generale mi sarei messo nella posizione di un tranquillo e rispettabile cittadino in possesso di una tranquilla e rispettabile impresa”.
La tentazione di fermarsi e di tenersi a quello che si possiede e’ del tutto naturale: io posso consentire con piena simpatia al desiderio di abbandonare una vita di strenuo lavoro e di ritirarsi a vita comoda. Non ne ho sentito mai io stesso l’urgente bisogno, ma posso ben comprendere che cosa esso sia: sebbene io penso che un uomo il quale si metta a riposo dovrebbe uscire dagli affari.
“C’e’ invece una tendenza a ritirarsi e a mantenere nel tempo stesso la direzione delle cose”.
Il riposizionamento strategico
Analizzando la sua impresa Ford conclude che i suoi elementi di differenziazione erano:
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le macchine Ford sono piu’ semplici e meno costose; |
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la concezione Ford rifiuta il concetto di “automobile di piacere”; |
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la politica finanziaria e’ severa, tutta proiettata a proteggere l’autonomia dell’impresa (vendite a contanti, tutti gli utili reinvestiti, nessun debito). |
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Per il resto l’impresa era come tutte le altre. E questo non è sufficiente. Ford inizia la ricerca di piu’ netti elementi di differenziazione.
Le innovazioni tecniche
- Servizio e vendita;
- la ricerca dei materiali nuovi per “dare forza senza peso”, ora l’azienda ha i mezzi per impegnarsi in questa ricerca;
- nel frattempo, nel 1906 “potemmo prelevare dal nostro capitale di lavoro fondi abbastanza ingenti per costruirci un impianto a tre piani”. E’ la prima fabbrica vera (Ford ha 43 anni);
- riesame di tutta la progettazione, con la guida di alcuni principi forti:
- “se uno dei miei motori subisce avaria la colpa spetta a me”
- altri sette principi. Sono principi imprenditoriali ed economici, non tecnologici. Utilizzano le conoscenze tecnologiche per obiettivi che derivano tutti dal principio del servizio al cliente).
Prendono cosi’ corpo le caratteristiche del nuovo modello: il famoso modello T.
L’innovazione di prodotto : il Modello T
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Dipendenti |
Autovetture |
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311 |
1.708 |
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Nel 1908 |
1.908 |
6.181 |
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Nel 1909 viene presentato il Modello T, insieme ad altri modelli: se ne vendono 10.607.
La decisione di Ford: “una mattina, io annunziai senza preamboli ne’ preavvisi, che d’ora innanzi noi avremmo fabbricato un solo modello e questo sarebbe stato il Modello T, con lo stesso telaio adattato senza modificazioni a tutti i generi di vettura, e soggiunsi: ogni avventore puo’ farsi dipingere l’automobile nel colore che desidera purche’ sia nero”.
Grosso investimento nella prima grande fabbrica (da 1 ettaro a 24 ettari).
Tutti aspettano che Ford salti:
“nessuno sa quante volte tale quesito sia stato posto da allora in poi. Lo si e’ posto sempre per l’incapacità’ di comprendere che qui era all’opera un principio, piuttosto che un uomo. Il principio era cosi’ semplice che sembrava misterioso: abbassare i prezzi ed innalzare la qualità con l’applicazione di energie e di macchinari intelligentemente diretti”.
Anno |
Prezzo |
Produzione |
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1909-10 |
USD 950 |
18.664 automobili |
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1910-11 |
USD 780 |
34.528 automobili |
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1911-12 |
USD 690 |
78.440 automobili |
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1912-13 |
USD 600 |
168.220 automobili |
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1913-14 |
USD 550 |
248.307 automobili |
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1914-15 |
USD 490 |
308.213 automobili |
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1915-16 |
USD 440 |
553.921 automobili |
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1916-17 |
USD 360 |
785.432 automobili |
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1917-18 |
USD 450 |
706.584 automobili |
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1918-19 |
USD 525 |
533.706 automobili |
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(Gli ultimi due anni furono anni di guerra, e la fabbrica lavorava a scopi militari). |
1919-20 |
USD 575 a 440 |
996.660 automobili |
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1920-21 |
USD 440 a 355 |
1.250.000 automobili |
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Il 31 maggio 1921 la “Ford motor company” produce l’automobile n. 5.000.000. Il sogno che nasce quando il ragazzino che correva lungo i sentieri degli indiani ha visto la prima locomobile e’ realizzato. Ford ha 58 anni.
Le innovazioni organizzative
I dipendenti nel 1912 sono 12.000.
I principi che stimolano e guidano la ricerca delle principali innovazioni organizzative:“Se riuscite a salvare dieci passi al giorno per ciascuno dei dodicimila impiegati, voi avrete salvato per cinquanta miglia di movimento sprecato e di energia spesa inutilmente”.
“Il lavoratore mal diretto spende piu’ tempo nel muoversi di qua e di la’ per prendere materiali e strumenti che non ne impieghi nel lavoro effettivo, ed egli infatti e’ pagato poco, poiche’ il podismo non e’ tra gli esercizi che si pagano molto”.
Incominciano gli esperimenti per “portare il lavoro agli operai e non gli operai al lavoro”.
Primo esperimento di una ferrovia di montaggio per portare i magneti ai montatori nell’aprile 1913, ispirato dai carrelli di montaggio che i macellai di Chicago usano per distribuire le parti dei manzi.
La grande innovazione sociale
“Non c’e’ questione piu’ importante di quella dei salari: la maggioranza della popolazione vive di salari. Il tenore della sua vita, il livello dei suoi salari determina la prosperità del paese”.
“Dovrebbe essere l’ambizione del datore di lavoro, come capo dell’impresa, di pagare salari superiori a quelli di ogni altra impresa consimile e dovrebbe essere l’ambizione dell’operaio il rendere possibile che cio’ avvenga”.
“Buon lavoro, ben diretto e bene amministrato, deve produrre alti salari e basso costo della vita”.
“Tali sono le verità fondamentali della questione dei salari. Questi non sono altro che distribuzione di guadagno fra associati”.
“E’ il grado di agiatezza delle larghe masse – non la situazione del bilancio dell’industriale – quello che fa testimonianza della prosperità. La funzione dell’industriale e’ contribuire a questa agiatezza. Egli e’ uno strumento della società e puo’ servire la società solo in quanto amministra le proprie imprese in modo da diffondere nel pubblico un prodotto sempre migliore a un prezzo sempre piu’ conveniente, pur pagando al tempo stesso a quelli che lavorano nella sua azienda un salario sempre piu’ largo, sulla base del lavoro che fanno. In questo modo e soltanto in questo modo, un industriale o chiunque si occupi di affari puo’ giustificare la sua esistenza.
Ma quale affare in verità e’ cominciato mai col produttore ed e’ finito col consumatore? D’onde viene il denaro necessario a far girare le ruote? Dal consumatore certamente. E il successo nell’industria e’ fondato unicamente sopra l’abilita’ di servire cotesto consumatore in cio’ che gli aggrada. Egli puo’ essere servito con la qualità o puo’ essere servito col prezzo. E’ ottimamente servito quando la qualità é la piu’ alta possibile ed il prezzo il piu’ basso; e quell’uomo, qualunque egli sia, che al consumatore puo’ dare la piu’ alta qualità al prezzo piu’ basso e’ designato a capitano dell’industria, qualunque specie d’articolo egli produca . Da cio’ non sfugge”.
Dopo due anni di studi scientifici, nel gennaio 1914 la Ford, volontariamente, riduce la giornata lavorativa da nove ad otto ore e contemporaneamente aumenta il salario minimo a cinque dollari all’ora, un incremento rivoluzionario rispetto alle retribuzioni correnti.
“Molti industriali ci condannavano come sovvertitori dei salari, come violatori del buon costume…. questi buoni costumi non valgano nulla, essi dovrebbero essere spazzati via, e un giorno sara’ certamente cosi’, altrimenti noi non potremmo abolire la povertà”.
“Probabilmente poche innovazioni industriali suscitarono in tutto il mondo tanti commenti quanti ne suscitò la nostra: ma dei molti che ci giudicarono forse nessuno colpi’ nel segno… gli altri salari noi li volevamo pagare per mettere la nostra industria sopra stabili fondamenta, non pensavamo a fare elargizioni ma a costruire per il futuro”.
Il mutamento drammatico della rotazione degli operai:
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nel 1914 per mantenere una media di 14.000 addetti Ford deve assumerne in un anno 53.000;
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nel 1915 per mantenere una quota piu’ elevata ne ha dovuti assumere solo 6.500;
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con i ritmi di rotazione del 1914, nel 1919 ne avrebbe dovuti assumere 200.000 in un anno. “Cio’ che sarebbe stato poco meno che impossibile”.
“Il pagamento di cinque dollari al giorno per otto ore di lavoro fu uno dei piu’ bei provvedimenti che noi prendessimo per la diminuzione dei costi; e il salario dei sei dollari e’ piu’ a buon mercato che quello dei cinque. Fino a qual punto potremo inoltrarci su questa via, noi non lo sappiamo”.
- Organizzazione v. responsabilità.
“quello che impone la piu’ dura lotta a chiunque raduni un grande numero di uomini in un’impresa lavorativa, e’ l’eccesso di organizzazione e il conseguente pericolo di irrigidirsi nella pedanteria… un’azienda e’ un’accolta di gente che s’e’ aggruppata per lavorare e non per scriversi lettere l’un l’altro”.
- “Noi domandiamo la completa responsabilità individuale… nella vita degli affari si sono sopravvalutati i titoli e gli affari ne hanno sofferto. Uno dei peggiori aspetti della divisione delle responsabilità mediante titoli e’ quello che essi finiscono talvolta con l’eliminare del tutto la responsabilità. Quando la responsabilità e’ tagliata in minuzzoli e divisa in tanti dipartimenti sottoposti a capi titolati, circondati dalla loro corte di sottotitolati assistenti, e’ difficile trovar qualcuno che si senta responsabile”.
“Fu l’applicazione di questi stessi metodi alla costruzione dell’automobile Ford quella che fin dai primi momenti fece abbassare i prezzi ed innalzare la qualità. Noi seguivamo semplicemente un’idea. Un’idea puo’ esser sempre il nucleo di un’impresa d’affari. Vale a dire, un inventore o un operaio sagace elabora una maniera nuova e migliore di servire a un determinato umano bisogno: l’idea si afferma, e la gente intende di doverla mettere a frutto. In tal modo un singolo individuo, per la sua idea o scoperta, puo’ diventare il centro di un’impresa. ma alla creazione del corpo, dell’insieme organico di questa impresa, contribuisce chiunque abbia un qualsiasi rapporto con essa. Nessun industriale puo’ affermare: - io edificai questa impresa -, se gli e’ bisognato l’aiuto di migliaia d’uomini per edificarla, essa e’ una produzione comune, chiunque sia stato impiegato in essa vi ha contribuito qualche cosa”.
“Se gli uomini, anziché dire “il datore di lavoro dovrebbe fare così e così”, dicessero: “l’impresa deve essere cosi’ stimolata e cosi’ amministrata da poter fare cosi’ e cosi’”, essi sarebbero sulla via che conduce a qualche cosa, giacche’ soltanto l’impresa puo’ pagare salari… l’imprenditore non puo’ guadagnar nulla dal guardare i salariati dall’alto e dal rivolgersi la domanda: “a quali patti piu’ meschini li potro’ avere?”. Ne’ i salariati dal trarsi indietro e dal chiedere: “quanto potro’ costringerlo a pagare?”. Alla fine dovranno l’uno e gli altri mettersi sul terreno dell’impresa e domandarsi: “come puo’ questa industria essere condotta a condizioni cosi’ sane e proficue, da permetterci di assicurare a tutti una vita sicura e comoda?…”
Ci vuole sempre un certo tempo perché le idee chiare si facciano strada, alfine però cio’ deve avvenire, poiche’ l’impresa nella quale gli uni e gli altri, imprenditori e stipendiati, lavorano allo stesso scopo di prestazione d’un servizio comune, richiede imperiosamente di essere messa sopra ogni cosa”.
“V’ha nei salari alcunché di sacro: essi rappresentano case e famiglie e sorti domestiche. Sul terreno dei salari si dovrebbe sempre procedere con molta cautela, nel libro delle spese i salari non sono che cifre; nel mondo reale essi sono madie di pane e casse di carbone, culle di bimbi ed educazione di fanciulli, benessere e gioie di famiglie. Da altra parte c’e’ anche alcunché di sacro del capitale, come quello che s’adopera a provvedere i mezzi onde l’umano lavoro puo’ esser reso produttivo. Nessuno si avvantaggerebbe, se le nostre industrie, spremute di tutto il loro sangue vitale, fossero ridotte all’asciutto. E c’e’ un alcunché di sacro anche nell’officina che impiega migliaia d’uomini. Come c’e’ nella casa, nell’officina si creano e si conservano tutte le cose piu’ belle che son rappresentate dalla vita domestica. Se vogliamo la casa felice, dobbiamo affaticarci a mantener l’officina operosa”.
“Il capitale in tal modo impiegato non dovrebbe essere manovrato con leggerezza, esso e’ al servizio di tutti, benché possa essere sotto la direzione di un solo.
I profitti spettano solo a tre parti: spettano alle imprese, per mantenerle solide, sane, e in costante progresso; spettano agli uomini che aiutarono a produrli; e spettano pure, in parte, anche al pubblico, un’impresa fortunata e’ di vantaggio a questo triplice corpo d’interessati: l’imprenditore, il produttore ed il conumatore”.
“Non e’ buona amministrazione il trar guadagni a spese degli operai o dei consumatori: voi dovrete trarli dai vostri metodi amministrativi, non caricate il prodotto; non caricate le mercedi; non mettete esigenze eccessive al pubblico. Mettete intelletto nei vostri metodi, e ancora intelletto, e poi ancora intelletto: fate le cose meglio che non siano state fatte mai: sara’ questo il modo di servire e di beneficare tutte le parti coinvolte negli affari.
E tutto cio’ puo’ sempre esser fatto”.
“Si e’ creduto che gli affari esistessero per il guadagno. Questo e’ un errore. Gli affari esistono per i servizi che rendono. Sono anch’essi una professione, e debbono avere un’etica professionale, la cui violazione squalifica un uomo. E’ necessario che negli affari si accresca questo spirito professionale. Esso cerca l’integrità’ che si addice alla professione, per amor proprio, non perchè vi sia costretto”.
“Noi non sperimentiamo mai le svenevolezze verso la gente che lavora con noi. Tra noi e loro e’ assolutamente una relazione di dare e prendere. Durante il periodo in cui aumentammo fortemente i salari, tenemmo un ragguardevole personale di vigilanza, si fecero indagini sulla vita domestica degli operai, e si cerco’ di appurare cio’ che essi facessero coi loro salari. Forse in quel tempo era necessario, e ne avemmo informazioni di qualche valore. Ma non e’ cosa da potersi praticare in modo permanente e l’abbiamo quindi lasciata cadere.
Noi non abbiamo molta fede nella “mano nella mano” o nei “contatti personali” applicati nel campo professionale, o nell’”elemento umano” e simili cordialità. E’ troppo tardi, oggi, per questa sorta di cose. Gli uomini vogliono qualche cosa di piu’ che onorevoli sentimenti. Le condizioni sociali non sono fatte di parole, esse sono il preciso risultato delle relazioni quotidiane fra uomo e uomo. Il migliore spirito sociale si dimostra in qualche atto che importa per l’amministrazione la relativa spesa, ma che torna a beneficio di tutti. E’ questo l’unico modo di dar prova delle proprie buone intenzioni e di guadagnarsi rispetto. Propaganda, giornaletti, conferenze: peggio che nulla. E’ l’atto opportuno, sinceramente compiuto, quello che conta.
Una grande azienda e’ realmente troppo grande per essere umana. Essa si accresce siffattamente da sopraffare la personalità dell’uomo. In una grande azienda, il datore di lavoro, come l’impiegato, si perde nella massa, essi hanno creato insieme una grande organizzazione produttiva la quale lancia articoli che il mondo compera, provvedendo in cambio denaro che serve a fornire i mezzi di sussistenza per tutti i partecipanti all’azienda. L’azienda stessa diviene la cosa principale.
C’e’ qualche cosa di sacro in una grande azienda che provvede all’esistenza di centinaia e di migliaia di famiglie. Quando si volge il pensiero ai bambini che vengono al mondo, ai ragazzi e alle fanciulle che vanno a scuola, ai giovani operai che, in forza del loro lavoro, si sposano e mettono su una casa, alle migliaia di tetti domestici sotto i quali tutto e’ fornito dal guadagno degli uomini, quando si volge il pensiero a una grande organizzazione produttiva che rende possibile la realtà di tutte queste cose, allora la continuazione di tale impresa diviene una santa missione essa diventa piu’ grande e piu’ importante che gli individui”.
La visione in avanti
“Ma che e’ da dirsi sulla produzione? Se ogni cosa necessaria alla vita fosse prodotta cosi’ a buon mercato ed in quantità cosi’ grandi, non sarebbe il mondo ben presto sopraffatto dalle mercanzie? Non verra’ il momento che la gente, senza fare questione di prezzi, non vorrà semplicemente comperar nulla oltre quello che gia’ possiede? E quando ci saranno piu’ automobili che uomini per servirsi? E se nell’attività’ industriale saranno adoperati uomini in sempre minor numero, come faranno costoro a trovarsi lavoro e a vivere?”.
“La ragione per cui il bolscevismo non funzionò, e non puo’ funzionare, non e’ di natura economica. Non importa se l’industria sia amministrata privatamente o sottoposta a controllo sociale: non importa se voi chiamate la quota degli operai “mercedi” o “dividendi”: non importa se voi irregimentate la gente quanto al cibo, al vestito ed al tetto, oppure se le permettete di mangiare, di vestirsi e di abitare come le piace. Queste sono nulla piu’ che questioni di particolari, l’incapacità’ dei dirigenti bolscevichi e’ denunziata dal baccano che essi han fatto sopra simili particolari. Il bolscevismo falli’ perche’ era insieme innaturale e immorale. Il nostro sistema invece sta in piedi. E’ cattivo? Certamente e’ cattivo, sotto parecchi aspetti! E’ plumbeo? Senza dubbio e’ plumbeo. A stretta ragione di diritto, esso dovrebbe crollare. Ma cio’ non avviene, poiche’ esso e’ connaturato con certi dati fondamentali dell’economia e della morale… se noi non possiamo produrre, noi non possiamo avere”.
Dunque la liberta’ di fare e di intraprendere e’ connaturata all’uomo. nel 1991 (70 anni dopo) nella Centesimus Annus Giovanni Paolo II dira’: “l’errore fondamentale dei collettivismi non e’ economico, ma “antropologico”: la violazione dei diritti del lavoro… la violazione dei diritti umani all’iniziativa alla proprietà ed alla liberta’ nel settore dell’economia”.
La visione in avanti
”Noi abbiamo soltanto preso lo slancio nello sviluppo del nostro paese: noi, con tutto il nostro parlare di progressi meravigliosi, nulla abbiamo compiuto di piu’ che raspare la superficie….”.
“Forze e macchinario, denaro e merci, sono utili soltanto in quanto ci danno la liberta’ di vivere…”.
“Io posso criticare il prevalente sistema dell’industria e l’organizzazione del denaro e della società dal punto di vista di uno che non ne e’ stato battuto”.
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