Gli scritti sull’accumulazione del capitale si sprecano. Ma nell’impresa il processo di accumulazione del capitale non è l’unico, ma è conseguenza di altri due processi di accumulazione.
Nel  mio grafico cerco di sintetizzare il “fenomeno impresa” attraverso tre processi di accumulazione. L'impresa di successo è quella che dà risultati duraturi nel tempo, e ciò si verifica solo quando esiste una buona armonia fra questi tre processi di accumulazione ed insieme un corretto processo di interazione con l'esterno. Non c'è solo l'accumulazione del capitale; c'è anche l'accumulazione della conoscenza organizzativa e della conoscenza tecnologica. L'accumulazione del capitale è solida solo quando è conseguenza del buon funzionamento dei due processi di accumulazione precedenti. Quando questi tre processi sono ben armonizzati e si alimentano reciprocamente, come gli anelli di un buon ingranaggio, e quando c'è una corretta interazione con il mondo esterno (che può essere attiva e passiva, nel senso che l'impresa da un lato subisce il mondo esterno, ma dall'altro contribuisce anche a farlo e non è quindi solo un disco che registra l'esterno), interazione che è come l’olio che favorisce il gioco dell’ingranaggio, abbiamo un'impresa che ha qualche possibilità di andare avanti a lungo nel tempo. E quindi anche di affrontare, con successo, i temi delicati della continuità e della successione. Allora, io vorrei esaminare il tema dell’impresa familiare alla luce proprio di questi tre processi di accumulazione: la famiglia, o l'impresa familiare, li aiuta o li rende più difficili?

Il primo punto che deriva dalla mia osservazione della vita delle imprese è che il buon funzionamento di questi tre processi, in linea di principio, non è legato alla dimensione dell'impresa, ma alla sua razionalità progettuale, nel singolo momento in cui essa si trova. Perché l'impresa vive un'infinità di stadi e chiedersi in quale stadio ci si trovi è una delle domande fondamentali. La dimensione piccola o grande non è il parametro chiave. Il parametro chiave è la razionalità progettuale, vale a dire se ho un progetto
 
LEZIONI DI IMPRESA, DA TEMPI E LUOGHI DIVERSI
01 Albertano da Brescia (prima metà del 1200)
>> LA NASCITA DELLO SPIRITO D’IMPRESA
 
02 Benedetto Cotruglio (1458)
>> ORGOGLIO E LEGITTIMAZIONE DELL’IMPRESA
 
03 Henry Ford (prima fase) (1863-1947)
>> VISIONE D’IMPRESA
 
04 Il Terminal Container di Gioia Tauro (Angelo Ravano, morto nel 1994)
>> CORAGGIO IMPRENDITORIALE
 
05 Nicolino e gli ulivi
>> THINK IMPERSONALLY
 
06 Dalle lezioni di Marco Vitale
>> I PROCESSI DI ACCUMULAZIONE
 
07 Dalle lezioni di F. Oppenheim
>> LA DINAMICA DEI PROCESSI AZIENDALI
 
08 Dalla ricerca sugli hidden champions di Hermann Simon
>> I FATTORI VINCENTI
 
09 Henry Ford (seconda fase)
>> IL DECLINO DELL’IMPRENDITORE E DELL’IMPRESA
 
10 Luciano Gallino e l’antico mito di Epimeteo
>> L’IMPRESA IRRESPONSABILE
 
adatto ai tempi, alla mia fase, a quello che il tempo mi chiama a fare. E qui vi potrei inondare di esempi.

Honda, il grande Honda, ha cominciato prima a fare le motociclette e poi le automobili. Quando ha iniziato era un piccolo garagista con due fallimenti sulle spalle, e quando ha cominciato a costruire la prima moto che andava a benzina di pino, nomi come Lancia e Alfa Romeo erano già mitici nel mondo, soprattutto l'Alfa Romeo.

Cosa è successo? È questione di dimensioni? Quando i giapponesi hanno cominciato i primi balbettii sulle motociclette - prodotto maturo, finito, si diceva - Guzzi era da tempo un nome mitico. Allora è una questione di dimensioni o una questione di razionalità progettuale? E nell'elettronica di consumo, la Sony chi è, chi l'ha fondata? Una grande multinazionale? L'hanno fondata, nel 1946, due ragazzi di 24 anni con 500 dollari e un camion. Però questi ragazzi avevano un progetto preciso, il loro progetto, che esplicitarono anche in un documento, che è una cosa assai interessante da leggere. Avevano un grande progetto. E bisogna avere un grande progetto per mettersi nell'elettronica di consumo, perché l'elettronica di consumo chiama a un grande progetto, anche in termini dimensionali. Come la IBM, che era una media azienda negli anni Trenta, ma aveva un grande progetto, e ha sempre avuto un grande progetto. E via dicendo. Pensiamo ad un “nostro” settore, che abbiamo quasi inventato noi: gli elettrodomestici di massa a costi bassi. Eppure è un settore che abbiamo in gran parte ceduto ad altri. Perché? Perché eravamo piccoli? Perché c'era un cattivo governo o cattivi sindacati? O perché la famiglia, quelle famiglie, non hanno retto la loro funzione sia imprenditoriale che proprietaria? Perché i tre processi di accumulazione non erano bene coordinati?

Ma ritorniamo ai tre processi di accumulazione. Il processo di accumulazione della conoscenza tecnologica: io osservo e affermo da tempo che nella famiglia avviene non solo un passaggio di capitale, ma anche un passaggio di conoscenza ( è un’osservazione che fa già Cotruglio). Un certo tipo di know-how passa prevalentemente attraverso il fatto familiare, non attraverso il fatto
manageriale. C'è un know-how, un po' misterioso da definire e da capire, che passa solo attraverso la famiglia. E questo è un plus preciso ed assai importante dell'impresa familiare. Difficile da definire (ma lo studieremo, perché anche dei puri studiosi cominciano a vederlo), ma c'è qualche componente del processo dell'accumulazione della conoscenza, che non è quella puramente tecnica, organizzativa, che passa solo e prevalentemente attraverso la famiglia. Ci sono delle cose che si respirano tra padre e figlio al caminetto, a Natale, due battute. Cosa che avviene, del resto, anche in altri mestieri, in altre professioni. Attraverso il rapporto familiare si trasmette qualcosa che non si impara nel tecnicismo del mestiere. C'è dentro un'anima particolare. Questo è importantissimo. Sotto il profilo del processo dell'accumulazione della conoscenza (conoscenza che viene sempre dal basso, dal fare, non viene mai da laboratori misteriosi), io vedo l'impresa familiare, in molti settori, avvantaggiata perché ha questa capacità di accumulo di una conoscenza diversa che si aggiunge a quella puramente tecnico-manageriale che è oggetto di insegnamento e di apprendimento nelle scuole e nelle aziende.

Secondo processo: processo dell'accumulazione della conoscenza organizzativa. Certamente qui l'impresa familiare, non in quanto familiare ma in quanto impresa prevalentemente medio-piccola, ha avuto ed ha ancora, in tanti campi, un grosso svantaggio rispetto alle imprese di grosse dimensioni, dove il processo di accumulazione della conoscenza organizzativa ha fatto più strada. Però sembra a me che, nella fascia delle imprese medie, negli ultimi dieci-quindici anni, si siano fatti dei progressi enormi. E quindi è stata dimostrata la capacità di apprendere, di aggiornarsi anche della media impresa familiare.

Ma quando io parlo della conoscenza organizzativa, parlo di una cosa più complessa. Parlo anche degli elementi di organizzazione d'impresa che non sono puramente il funzionamento dei meccanismi, ma che attengono a problemi più delicati e strutturali. È organizzazione anche avere delle idee chiare, sistematiche e meditate sui rapporti tra proprietà e impresa, famiglia e impresa, amministratori e management. Questa è conoscenza organizzativa, quella veramente fondamentale. In quest'area c'è una grande confusione, si è studiato poco, si è meditato poco, si è riflettuto poco. Io credo che sia sbagliato ridurre i problemi dell'impresa familiare a problemi di rapporti tra padre e figlio e tra fratello e fratello, ad uno spicciolo psicologismo.  Non perché i problemi psicologici non siano importanti, ma perché essi trovano attenzione e soluzione attraverso altri strumenti. Io vi assicuro che anche il barbiere ha dei problemi psicologici con suo figlio, anche il dentista. Noi dobbiamo andare a cercare delle specificità sul tema dell'impresa. Nell'ambito di un rapporto psicologico normale, il passo avanti si fa quando si medita, si riflette e si impara sulle regole del gioco, sui principi organizzativi che intersecano famiglia, impresa, proprietà, amministrazione. In quest'area io ho vissuto, insieme a tanti miei clienti, importanti processi di apprendimento, di accumulazione della conoscenza organizzativa.

Arrivo all'ultimo processo: processo di accumulazione del capitale. Per quanto riguarda l'accumulazione interna, contrariamente a quanto molti credono, l'impresa familiare non ha di solito una tensione sufficiente sull'obiettivo del profitto. Si appaga di un buon rendimento ma non produce tutto il profitto che potrebbe e dovrebbe, alimentando una gestione un po' rilassata, un po' paternalistica, un po' pigra. E questo si paga in termini di produttività e di forza competitiva. Per quanto riguarda l'accumulazione con fonti esterne, non è più vero che l'impresa familiare non trovi sul mercato finanziario gli strumenti e le possibilità per acquisire, accanto al capitale che accumula all'interno, del capitale esterno di sviluppo. È un grande alibi dal quale ci si deve liberare. Se la famiglia non vuole aprire il capitale per ragioni sue (e io invece credo che si possa benissimo aprire il capitale conservando, anzi per conservare, l'impresa familiare), non deve attribuire al mercato finanziario colpe che non ha. Oggi il mercato finanziario è attrezzato per aiutare la famiglia imprenditorialmente a posto, dove i rapporti famiglia impresa sono correttamente impostati, per finanziare corretti progetti di sviluppo. Ed io mi auguro che ciò avvenga sempre più frequentemente, perché sono un grande sostenitore dell'impresa familiare. Anche perché ho visto da vicino la devastazione che il management prevalentemente professionale americano ha fatto di molte imprese americane negli ultimi venti anni.

Ma le imprese familiari devono avere ben presenti i tre processi di accumulazione e di curare il buon funzionamento di tutti e tre, come rotelle di un buon ingranaggio ben calibrato ed equilibrato e continuamente reso fluido dall’olio rappresentato da una attenta, curiosa e aperta interazione con il mondo in cui si opera.
 
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